Ridere di fronte alla morte: il riso sardonico

A tutti è capitato almeno una volta nella vita di ridere forzatamente di fronte a una situazione in cui da ridere c’è ben poco.

Ebbene, sappiate che esiste un’erba, probabilmente l’Oenanthe crocata, che costringe a ridere chi è in punto di morte e sappiate che quest’erba veniva chiamata dagli antichi erba sardonia o sardonica.

La Treccani scrive che l’erba sardonia è una pianta velenosa che, anticamente, si riteneva provenisse dalla Sardegna.

Che fosse tossica lo sapevano già i Greci e i Romani e, infatti, alla sua ingestione si attribuiva la contrattura dei muscoli facciali, che tramutava l’espressione del viso in un sorriso inquietante, chiamato poi riso sardonico. 

Pare che già un antico storico greco parlasse dell’esistenza tra i sardi di una pianta dolciastra, simile al sedano selvatico che, se ingerita, “distende le mascelle e la carne”1 e persino Omero, nel ventesimo capitolo dell’Odissea, dice che Ulisse “ride in modo sardonico”, consapevole del destino di morte che attende Ctesippo, un arrogante e antipatico, pretendente di Penelope.

Tra mito e realtà, Timeo di Tauromenio avrebbe tramandato un racconto secondo cui in Sardegna veniva praticato il geronticidio: i vecchi oltre i 70 anni, che diventavano un peso per la società, venivano uccisi e poi gettati in un burrone2. Morivano con un riso crudele stampato sul viso che, probabilmente, era provocato appunto dall’ingestione dell’erba sardonica. Deduco quindi che l’effetto di questa pianta, anche detta ‘prezzemolo del diavolo’, era diabolico: causava convulsioni e contrazioni forzate dei muscoli, fino alla morte, provocando il cosiddetto riso sardonico. Secondo alcuni, questi riti erano messi in atto in onore di Kronos.

In realtà, che siano i figli uccisori o i padri uccisi a ridere, non è chiaro. Ma è chiaro che Kronos, titano del tempo e della distruzione, nella leggenda si beffa simbolicamente della mancanza di senso nella vita, che deve immancabilmente distruggere il vecchio per poter far rinascere il nuovo, e continuare così all’infinito. 

Sono venuta a sapere che in Sardegna esistono ancora espressioni linguistiche che, forse, si ricollegano proprio al geronticidio, come il detto: portare is beccius a sa babaieca, che significa portare i vecchi verso lo strapiombo. A Urzulei esiste un dirupo che si chiama pigiu de su becciu, fosso del vecchio, a Gairo c’è un sentiero in campagna che porta ad un precipizio, chiamato Sa Babbaieca, e a Orotelli c’è S’impercadortzu de sos betzos, il dirupo dei vecchi.

Nel museo archeologico di Cagliari ho incontrato poi una maschera punica il cui viso è solcato da rughe e la cui espressione si assomiglia a un sorriso inquietante e forzato. Se questa maschera rappresenti veramente il riso sardonico e se la pratica di mangiare un’erba velenosa per morire a stenti sorridendo fosse di origine sarda o punico-fenicia non ci è dato saperlo.

E’ interessante però notare come il prezzemolo del diavolo, tanto dolce nel sapore quanto amara nell’effetto, abbia preso il nome di un popolo come quello sardo, popolo che non ha mai fatto i conti con il suo passato e che, con un sorriso forzato guarda al futuro, stavolta inconsapevole di aver ucciso i suoi padri. 

Ma se secondo la leggenda (che poi leggenda forse non è) i vecchi erano disposti a morire per lasciare posto ai giovani, oggi la Sardegna è in bilico tra il vecchio e il nuovo: il primo che, non avendo amato i suoi figli, non vuole mollare la presa e il secondo che non riesce a farsi spazio nel presente, incapace di trovare l’anello di congiunzione che lo unisce al passato.

  1. Sergio Ribichini, Il riso sardonico, storia di un proverbio antico ↩︎
  2. Ignazio Didu, Greci e la Sardegna ↩︎

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