Quell’uomo sardo che scavò una buca gigantesca a mani nude per cercare l’acqua.

È meglio essere un guerriero in un giardino che un giardiniere in guerra”

Tziu Amedeo si chiamava mio nonno. Era sardo, nato a Lodè nel 1921, e tutti quelli che lo hanno conosciuto lo descrivono come un uomo dalla tempra d’acciaio, un fabbro del proprio destino, inarrestabile davanti a qualsiasi ostacolo. 

Anche se oggi ci può sembrare strano, all’epoca avere una tempra d’acciaio non era un’opzione da scegliere tra le tante: forgiare un carattere tenace era l’unica via da seguire per non diventare un pezzente.
Senza saperlo, questi contadini e pastori dalle mani incallite, mettevano in pratica da millenni la Volontà di Potenza teorizzata da Nietzsche, secondo cui il senso dell’esistenza non sta nella comodità, ma nel superare se stessi grazie alla propria volontà. Non subire la realtà, ma forzarla con la propria determinazione.

Negli anni ‘60 Tziu Amedeo si era ficcato in testa di voler trovare l’acqua nel suo terreno e, con la mentalità  e il portafoglio che si ritrovava, non aveva di certo considerato l’opzione di affidarsi alle tecnologie del tempo, perciò decise di fare da sé. Con una zappa iniziò a scavare, scavare, scavare per giorni, giorni e giorni. Scavò buche talmente profonde che, scavandole, avrebbe potuto restarci secco se quella massa di terra fosse crollata dalla sommità, seppellendolo. Chiese aiuto a tutti i rabdomanti della zona, si affidò a preti e santi tanto per assicurarsi la loro simpatia visto che manco ci credeva, ma alla fine l’acqua non la trovò (e non la trovò neanche mio padre cinquant’anni dopo, pagando una trivella).

Al di là del risultato, la lezione da assorbire da questo aneddoto è esemplare. 

In un mondo che ha eliminato l’idea impavida dall’individuo, che ha sostituito la lotta inevitabile per la vita con l’esaltazione delle proprie fragilità, chi sarebbe ancora disposto a scavare la propria buca a mani nude, mettendo a repentaglio la propria vita? 

Sì, perché qualsiasi Mental Coach moderno, se gli dicessimo di voler scavare la nostro buca e di essere disposti a sputare sangue per sfidarci fino al midollo, ci accarezzebbe con finta empatia dicendoci che siamo perfetti così come siamo e che dobbiamo accettarci, rendendoci così i maggiordomi delle nostre stesse debolezze (e anche i suoi, visto che vive grazie al fatto che noi lo paghiamo perché siamo deboli). Ci direbbe che è troppo pericoloso, che ci uscirebbe il sangue dalle mani, che potremmo morire seppelliti dalla terra e che, dopotutto, potremmo continuare a vivere senza acqua.

Ma il problema non è ciò che lui ci direbbe, ma è che lui ci dice esattamente ciò che noi vogliamo sentirci dire, per scappare dalla sofferenza.

Ma allora forse dobbiamo chiederci, dov’è finita la mentalità di quell’uomo temprato dalle mani incallite, quello stoicismo forzato dell’individuo che dimostra la forza nell’affrontare la sofferenza della vita, senza lamentarsi.

Nel momento in cui forgiarsi una corazza, un carattere indomito non è più una necessità, ci ritroviamo, generazione dopo generazione, a disperarci per un’unghia rotta o per la batteria scarica del telefono. Ma i tempi in cui possiamo permetterci di frignare sono agli sgoccioli e noi non siamo preparati. Perciò, dovremmo tornare a prendere lezioni da Tziu Amedeo piuttosto che da un Mental Coach (& co.) che, più debole di noi, ci spinge a rimanere nella nostra comfort zone perché “siamo perfetti così come siamo”.  Forse è preferibile essere pronti ad affrontare situazioni difficili prima che si presentino, piuttosto che ritrovarsi dentro le stesse senza avere gli strumenti per affrontarle.

E allora smetteremo di essere dei giardinieri in guerra, diventando, forse, dei guerrieri in un giardino. Un giardino che sta per diventare un campo di battaglia. 

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