Quando il codice barbaricino indossa la gonna: la banditessa Paska Devaddis.

Nell’immaginario collettivo la parola banditismo richiama l’immagine di un uomo barbuto e rude, vestito di velluto nero, con in mano il fucile e in viso uno sguardo impassibile. Le donne sarde hanno sempre avuto un ruolo cruciale, plasmando palesemente il fenomeno con sussurri manipolatori alle orecchie degli uomini, dicendo loro ciò che si doveva e non si doveva fare. È capitato però che le circostanze abbiano portato alcune donne ad imbracciare direttamente il fucile, mettendo in pratica, in prima persona, ciò che il loro codice le imponeva di fare.

Una di queste era Paska Devaddis. 

Orgolese, nata nel 1888 si ritrovò giovanissima coinvolta in una delle faide più crudeli della storia sarda, conosciuta come “sa disamistade di Orgosolo”, i cui attori principali erano due famiglie in conflitto: quella dei Cossu e quella dei Corraine.

In una terra in cui la generosità estrema si alterna a una risolutezza implacabile nel non permettere mai che qualcuno prevalga sugli altri, quando si tratta di eredità o di discordie familiari, la stessa mano che offre può diventare letale. 

La mano di Eugenio Podda fu letale per Carmine Corraine, che fu ucciso nel 1905 per questioni legate, appunto, all’eredità. Ma, al contrario di ciò che si dice al di là del mare, in Sardegna la giustizia non fa il suo corso: Podda fu infatti scagionato perché, Don Cossu, un prete più  influente del Dio di cui blaterava, riuscì a influenzare le indagini, proteggendo il colpevole fino ad evitargli la pena. 

Siamo ad Orgosolo, agli inizi del ‘900. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la tempra e l’orgoglio che un uomo sardo in quel periodo potesse avere, sà che certe questioni in Sardegna sono delle ferite aperte, sanguinanti e  indelebili che si possono cancellare soltanto in un modo: con altro sangue. Così nella faida più crudele della storia dell’isola, vennero coinvolte altre famiglie tra cui i Moro, i Succu e i Devaddis, di cui la nostra banditessa Paska fa parte. 

Il fratello di Paska fu accusato dell’omicidio di un membro dei Cossu, omicidio a cui Paska avrebbe assisitito, secondo alcuni testimoni. Così, insieme alla sua famiglia e al suo fidanzato, diventò ricercata dalla legge e perciò i Devaddis si diedero alla macchia.

Siamo nel Supramonte, il territorio è aspro, il clima è freddissimo e la vita del fuorilegge non è proprio quella di un adolescente borghese di città: è molto dura e bisogna avere una tempra d’acciaio per resistere.

L’animo di Paska era d’acciaio, tanto che si narra che questa donna, dopo essere stata trovata da due carabinieri che, fedeli alla legge ma non al buon senso, cercarono di approfittarsi di lei, riuscì a scappare minacciandoli a suon di fucile.
Dovete immaginarvela una donna giovanissima, vestita in abiti tradizionali che nelle campagne impervie di una delle montagne più misteriose della Sardegna, spara all’aria con uno scoppio per intimorire sa Lezze – la Legge, tanto per restar fedele alla severissima legge sarda che recita Zustissia enzat e a mie non tochet – Che arrivi la giustizia, ma che non mi tocchi.

Ormai malata da tempo di tubercolosi, Paska fu trovata morta nel 1913 nel Supramonte di Orgosolo. Decise di morire come fanno gli animali selvaggi: sola, adagiata in una caverna, lontano da tutto e da tutti.

I due carabinieri non si approfittarono mai di Lei, e ne abbiamo la prova perchè l’autopsia confermò la sua verginità e con essa il suo mito, che rimane ancora oggi inzuppato di eroismo e di poesia: 

Pianghein sos montes dae s’adde

a s’altura, ca morta vit sa fada

de sos banditos. Paschedda Devadde

sa virgine de Orgosolo istimada

Piansero i monti, dalla valle alle alture, perché era morta la fata dei banditi. Paska Devaddis, la stimata vergine di Orgosolo.

I banditi che si erano dati alla macchia insieme a lei, diedero un’ulteriore prova di coraggio, quando trasportarono il suo corpo consumato fino alla casa natale, attraversando il paese di Orgosolo e rischiando di essere uccisi perché era totalmente infestato da carabinieri e nemici della loro stessa famiglia.

Ma era ad Orgosolo che doveva tornare il corpo di Paska, perché secondo la legge barbaricina, un bandito morto durante la latitanza doveva rientrare nella sua casa, altrimenti avrebbe subito il disonore eterno.

Orgosolo, luogo in cui tutto ebbe inizio e fine, con una sentenza che nel 1917 costrinse la giustizia a scendere a compromessi con il suo stesso nemico, il codice sardo: tutti vennero assolti. 

Il corpo di Paska fu deposto e vestito con il suo abito più bello: quello da sposa, che non avrebbe mai potuto indossare, a causa di un sisma culturale i cui effetti sono ancora visibili oggi.

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