Lettera di un nipote al nonno emigrante

Risposta a “Lettera al nipote dei nonni emigranti” di Lino De Palmas https://www.lucianopiras.it/lettera-al-nipote-dei-nonni-emigranti-2/

Caro Nonno, 

Avermi dato la possibilità di mettere, per un momento, i tuoi occhiali e filtrare il mondo con i tuoi occhi è stato per me un grandissimo dono. Nessuno lo aveva mai fatto prima.

Il villaggio globale in cui sono nata e cresciuta non mi ha mai dato un punto di riferimento saldo da cui partire, un paio di occhiali adeguati per filtrare la realtà e distinguere ciò che và fatto da ciò che non và fatto. Se tu, infatti, sei diventato orfano de “Sa Idda” da adulto, io lo sono sempre stata e, come ben saprai, rimpiazzare da adulti ciò che ci è mancato da bambini, è una bella gatta da pelare. La psicologia ha ampliato la schiera dei suoi seguaci negli ultimi cinquant’ anni, soprattutto a causa di questa mancanza.

Penso, comunque, di averti reso abbastanza fiero di me, essendomi resa conto in tempo di averti, in qualche modo, mancato di rispetto e avendo cercato di rimediare al danno.

Rispetto immensamente i sacrifici che tu hai fatto per me, sacrifici che sono stati possibili solo grazie al fatto che il sacrificio per te era l’unica scelta che avevi sin da bambino, il tuo pane quotidiano, perché il tuo mondo era fatto solo così e non avevi altra possibilità se non crearti una corazza e diventare Uomo in fretta.  

Ma ora ti chiederei di metterti nella mia pelle per un momento, per osservare e comprendere la distanza che si è creata tra di noi.

Solo gioia  e agiatezza hanno proiettato i miei occhiali infantili, una gioia ipocrita che ha anestetizzato la mia vita, rendendola vuota di vita stessa e carente di fame di vivere. Rendendola superficiale e gettandola in pasto a una perenne entropia, silenziosa ma fatale.  Ce lo ricordò ossessivamente Nietzsche quando, tra le altre cose, scrisse che “Il dolore rende gli uomini profondi, mentre la gioia li rende superficiali”. Come sempre, aveva ragione. 

Mai, da ragazzina, ho avuto modo di testare la mia temperanza con una qualsiasi responsabilità, per poi trovarmi catapultata in un mondo che mi ha gettato in faccia delle responsabilità enormi: tra le tante, la responsabilità di dover scegliere in un mondo in cui le scelte sono infinite.

Ho faticato molto per comprendere che, invece di decidere cosa fare, dovevo decidere chi essere. Ma ti assicuro che appena mi sono riconosciuta e, conoscendomi, ho conosciuto te, ho fatto a pezzi tutto e tutti, e sono diventata una studentessa molto accanita della mia storia (Gramsci disse che la storia non ha scolari, ma forse qualcuno c’è).

Purtroppo, non è stata colpa mia. Forse la colpa non è di nessuno o forse è un po ‘ di tutti: un po’ anche la tua, che non sei stato in grado di trasmettere i tuoi valori saldi ai tuoi figli che, di conseguenza, non li hanno trasmessi a me. 

Ma, in fondo, è comprensibile l’impossibilità di trasmettere la tua esperienza a un figlio nato in un mondo in cui quell’esperienza non è più praticabile. Mai avresti potuto ricomporre artificialmente il tuo mondo fatto di necessità, in un villaggio globale in cui il superfluo è diventato necessità. 

Sei stato anche tu il protagonista di un ciclo che, credo, si ripeterà all’infinito: 

Quando la vita è dura, le persone diventano forti. Quando le persone sono forti, migliorano il mondo. Ma quando il mondo è facile, le persone si indeboliscono. E quando le persone si indeboliscono, il mondo torna a essere duro.

Mi pare di capire che siamo nel momento in cui le persone deboli si affacciano alla vita dura.

E tutto si ripeterà di nuovo.

E i miei nipoti saranno di nuovo come te, caro nonno.

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