Dalla finestra della casa di riposo si vede il verde acceso dei cipressi toscani, ma lei, nonostante abbia gli occhi aperti, non lo vede.
I suoi occhi sfiorano tutto, ma non trattengono nulla: né noi, né la sua immagine.
Ci vedrebbero ancora bene, se il suo cervello glielo permetterebbe. Ma da un pò di tempo a questa parte, ha cominciato a ritirarsi su se stesso, a raggrinzire piano piano, e nei suoi solchi si è creato un vuoto sempre più grande, in cui il buio fa molta, troppa paura: è come se fossero stradine di una città deserta, in cui sono rimaste solo poche lampadine accese.
Mia zia ha l’Alzheimer da più di dieci anni e la progressione di questa malattia è una cosa talmente crudele, che pare essere arrivata sulla terra per ricordare agli esseri umani quanto siano infinitamente inutili: non ci puoi fare proprio niente. Si inizia con il dimenticare le strade, si continua con il dimenticare una posata dentro l’impasto di una torta e di ritrovarsela poi mentre la si taglia per mangiarla. Poi si dimentica la propria gente, si confondono i volti, finché ci si dimentica persino di sopravvivere: non ci si ricorda neanche come si mastica, come si beve, come si vede.
Quando arriviamo dorme. Quando si sveglia dorme lo stesso: vani i nostri tentativi di impietosirla con le nostre lacrime, vani quelli di scuoterla per svegliarla, come se il nostro inconscio volesse convincerci che stia dormendo, che è solo un brutto sogno. In realtà tutto è più crudele di così e lo sappiamo, ma non vogliamo pensarci. Sembra di parlare con un animale che si contorce continuamente e di cui cerchi di cogliere segnali per capire cosa vuole dire: ma in realtà non vuole dire proprio niente, siamo noi a voler dare un significato ai suoi movimenti.
Ho bisogno di prendere aria: vado a fare una passeggiata a Certaldo Alto, un paesino medievale molto grazioso. In un piccolo negozietto, mi fermo a fare delle foto a delle bottiglie di vino con delle immagini in sequenza che mi colpiscono: un uomo inchinato e una donna vestita di rosa che va verso di lui con un mazzo di fiori in mano; loro due che, su un’altra bottiglia, ballano con le espressioni felici. Sull’ultima bottiglia, l’immagine rappresenta l’uomo ormai anziano, che tiene in braccio la donna, che pare non reagire più di tanto.
Il proprietario del locale si avvicina e mi racconta che quella è la vita di una coppia, che i figli hanno deciso di rappresentare nel vino di loro produzione. L’ultima immagine rappresenta il marito che tiene in braccio la moglie, ormai malata di Alzheimer.
Mi si ritorce lo stomaco, ma non gli dico che sono in Toscana per visitare mia zia malata di Alzheimer.

Torno da lei, ed è ancora nella stessa posizione. Inclinata verso destra, con gli occhi aperti a fissare il nulla, tenuta attaccata alla sedia a rotelle da una pettorina di contenimento, altrimenti cadrebbe per terra perché il suo corpo si contorce in continuazione. Ormai il cervello non è più in grado di controllare i muscoli, che rimangono sempre contratti, tirati come le corde d’un violino.
Come tante altre malattie, anche questa è spietata: sei lì, davanti a una casa che crolla, e non puoi farci niente mentre vedi andare tutto in frantumi, pezzo per pezzo. L’abbiamo riempita di baci, carezze, abbracci ma, a parte qualche spasmo che ci lasciava intendere piccoli momenti di minimissima lucidità in cui pareva rispondere si/no, non c’è risposta da parte sua.
E’ sera, devo andare via, la nave parte tra qualche ora. Mentre la saluto ci riprovo : “ce ne dobbiamo andare,zia” le dico. Con tutte le sue forze mi risponde, e a mala pena la capisco, mi dice: “dove andate?”.
Non so se ha capito che eravamo suoi parenti, ma sicuramente qualcosa l’ha provata. Non voleva che andassimo via, ha sentito tutto l’amore che gli abbiamo dato in una giornata passata insieme.
Chiudiamo la porta e mentre vado via penso che, forse, l’amore serve solo a questo: restare accanto, anche quando l’altro non sa più chi sei. Qualcuno diceva che l’essere umano comincia davvero davanti al volto dell’altro. Davanti al suo volto immobile, ho capito cosa vuol dire restare umani.