Cosa c’entra Ulisse con l’isola di Tavolara? 

Se nel linguaggio comune parliamo di “un’Odissea” per indicare un’impresa mastodontica e infinita, non è un caso: dopo aver combattuto per dieci anni nell’Iliade, Ulisse si ritrova catapultato nel libro successivo, l’Odissea, dove ci impiega altri dieci anni a tornare a casa.

E non ci torna di certo dopo un viaggio in crociera: strizzato ed esausto dalla guerra,  incontra personaggi che gli vogliono rendere la vita ancora ancor più difficile di quella che è. Dal gigante Polifemo che lo intrappola nella sua caverna e si mangia due suoi compagni, a Poseidone che ce l’ha con lui perché Ulisse ha cavato l’unico occhio a suo figlio per scappare. Dalla maga Circe che trasforma i suoi compagni in maiali, alla ninfa Calipso che si innamora di lui e lo costringe a rimanere nella sua isola (tanto che, quasi quasi, se ne convince anche lui rimanendoci per sette anni, ignaro della manipolazione affettiva che la ninfa stava mettendo in pratica).

Dopo mille peripezie, povero Ulisse, arriva stanco e affaticato alla sua ultima tappa: Scheria, l’isola dei Feaci, dove finalmente trova gente “normale” che lo vuole aiutare.

Questi Feaci, nonostante abbiano tratti sovrumani, sono tra i personaggi che più si avvicinano alla realtà nell’intero poema che, nonostante sia intriso di mitologia e poteri magici, presenta correlazioni con la vita reale. Ulisse infatti era in viaggio nel Mediterraneo e, ad esclusione di Itaca, isola dove Ulisse intende appunto tornare, tutte le altre isole menzionate sono mitologiche. E’ probabile però che alcune di loro siano esistite veramente ma che Omero, o chi per lui, le abbia dato semplicemente un nome diverso, creando un vero e proprio miscuglio tra mito e realtà. 

Però è interessante notare quante cose in comune abbiano questi Feaci con i sardi nuragici, come ci fece notare lo studioso Massimo Pittau:

Come i Feaci, anche i nuragici erano probabilmente nuovi arrivati nell’isola (provenivano infatti dalla Lidia). Come i Feaci, anche i nuragici erano abilissimi navigatori e conoscevano l’usanza dei giochi ginnici e militari (si vedano i bronzetti nuragici che raffigurano lottatori, pugili e cavalieri). Come i Feaci, anche i nuragici danzavano formando un cerchio al cui centro qualcuno suonava uno strumento simile a dei flauti multipli come sas launeddas (oggi si suona l’organetto)

Arete, moglie del Re dei Feaci Alcinoo, godeva di un prestigio non sicuramente comune a quello che in quel periodo godevano le donne nel periodo in cui l’Odissea è stata scritta. Le donne nel mondo sardo godevano invece di una posizione molto più simile a quella di Arete (motivo per il quale, la storia sarda ha donne che assumono posizioni di reggenza, come per esempio Eleonora d’Arborea). 

Comunque l’incontro di Ulisse con i Feaci è andato più o meno così:
Dopo anni e anni di viaggio, col Dio Poseidone alle calcagna che si vuole ancora vendicare, Ulisse approda sulla spiaggia di Scheria dove, stremato e nudo, si addormenta. Come già detto, l’isola è abitata dai Feaci, il cui Re e la cui Regina sono Alcinoo e Areta che hanno una figlia: Nausicaa. Seguendo un consiglio apparsole in sogno, Nausica va al fiume a lavare i vestiti ed è lì che incontra Ulisse, che è evidentemente un po’ messo male.

Per questo gli offre vestiti e gentilezza e lo spinge a recarsi nel palazzo dei suoi genitori, dove viene accolto da un’ospitalità umana che Ulisse non vedeva da molto tempo. Mentre mangiano, Demodoco, un cantore cieco, racconta storie della guerra di Troia e Ulisse si commuove talmente tanto da piangere davanti a tutti (perchè, appunto, Ulisse la guerra la vide con i suoi occhi). 

Il suo pianto incuriosisce molto il re che gli chiede di rivelare la sua vera identità, e dopo che Ulisse racconta tutte le sue avventure, i Feaci lo prendono in simpatia e decidono di aiutarlo a tornare a casa. Gli offrono una nave molto veloce e addirittura lo accompagnano nella sua amata isola: Itaca. Dicevo all’inizio che Poseidone è ancora incarognito contro Ulisse per aver cavato l’occhio a suo figlio Polifemo e, ovviamente, si sà: chi è amico dei tuoi nemici è anch’esso un nemico. Infatti il Dio se la prende con i Feaci e trasforma una delle loro navi in pietra mentre stanno rientrando a Scheria.

Se non fosse che la forma insolita dell’isola di Tavolara ricorda effettivamente quella di una nave che naviga verso la Sardegna, che la sua punta nord-orientale si chiama “Punta Timone” e che un arco calcareo nella sua costa est è stato chiamato “Arco di Ulisse”, forse non si sarebbe ipotizzato che Omero, con la nave pietrificata da Poseidone, alludesse a Tavolara. 

Se questo sia vero o falso, non lo sapremo mai (a meno che non salti fuori qualche documento in grado di traslitterare il poema di Omero). Ma, come le ricerche di Pittau concludono, questa ipotesi non è da escludere, visto che Ulisse viaggiava nel Mediterrano e visto che la Sardegna nel Mediterrano era una tappa obbligatoria, grazie alla sua posizione strategica e al suo ruolo fondamentale, sia a livello culturale che geografico. 

Non so a voi, ma a me piace pensare che Tavolara sia una nave pietrificata da un Dio del mare in preda all’ira.

  • M. Pittau, La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi & Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico
  • E. De Felice, Le coste della Sardegna. Saggio toponomastico storico-descrittivo
  • A. Papurello Ciabattini, Il profilo geografico di Tavolara.
  • D. Panedda, I nomi geografici dell’agro di Olbia.
  • O. Höckmann, La navigazione nel mondo antico

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