Se i nostri nonni si lamentano dicendo che non “non ci sono più i valori di una volta”, oltre a esprimere, senza saperlo, la nostalgia e la gelosia di non essere più giovani, denunciano la sparizione di alcuni valori che non ci sono più, perchè non sono necessari (o almeno siamo così convinti).
In un mondo insicuro, precario e abbandonato dal mondo, come era la Sardegna dei nostri nonni, creare relazioni stabili, in cui la fiducia, “sa Paraula”, faceva da collante eterno, era realmente necessario.
Era un sigillo di garanzia e, se oggi ci affidiamo alle assicurazioni, pagando per ottenere una tutela futura, un tempo le uniche garanzie erano le persone. Tuttavia, poiché gli esseri umani sono meno affidabili di una polizza meccanizzata, allora ci si doveva inventare delle ricorrenze, in cui queste garanzie venivano sigillate da promesse eterne.
In Sardegna questi sigilli erano consolidati il 24 Giugno, in occasione della festa di San Giovanni. Inutile dire che la chiesa ha dato il nome di un santo ad un rito originariamente pagano, in questo caso legato al solstizio d’estate. Rito di cui ancora oggi si respirano gli elementi principali, come il fuoco, l’acqua, le erbe, i fantocci. Ma questa è un altra storia.
Dicevo, la fiducia doveva essere in qualche modo sigillata concretamente. A Lodè, il 24 Giugno, si celebrava la festa di San Giovanni proprio davanti alla chiesetta omonima, ed era una festa molto sentita: la mattina presto si celebrava la messa, seguita poi da balli, canti, corse di cavalli e pranzi comunitari.
Ma mentre le persone ballavano, cantavano, mangiavano e andavano a cavallo, ai margini succedeva qualcosa di molto interessante: persone che sentivano una particolare stima reciproca, si giuravano fedeltà eterna sigillando così una “Comparìa”, un legame di fiducia che durava tutta la vita.
Succedeva esattamente così: se tra due persone c’era una particolare simpatia o affinità, potevano scegliersi reciprocamente per iniziare un legame nel nome di San Giovanni. E’ allora che una terza persona apriva il palmo della mano davanti agli occhi di tutti i testimoni, e i due che si erano scelti, vi poggiavano sopra l’indice, dicendo a voce alta:
“Comare, Comare,
Santu Juanne ‘e Mare,
Santu Juanne-Andria,
a morrere a morrere impare
a comare a comare”
Finita l’ebbrezza della festa, quando due compari si incontravano per strada, si salutavano dicendo “Ave Maria” e l’altro rispondeva “Siat piena”, rinnovando simbolicamente la fiducia reciproca.
Erano talmente tante le persone che instauravano questi legami in paese che, ancora oggi, parlando con gli anziani di Lodè, si possono sentire discorsi legati a queste Comparìas
Questo rituale richiedeva che, sulla base della lealtà e della fedeltà, ci si sostenesse a vicenda per sempre. E quando dico per sempre, intendo per sempre: io stessa, da adolescente ignara di tutto, ho tratto dei benefici da una Comparìa sigillata tra mia nonna e un uomo che, sapendo che io trattavo con suo figlio, gli raccomandò severo “Mi raccomando, trattala bene che sua nonna è mia comàre!”
Mia nonna non viveva più a Lodè e i due non si vedevano più da più di 30 anni. Ma il legame era rimasto, indissolubile ed eterno. Indissolubile come anche Grazia Deledda lo descrisse nel suo romanzo Marianna Sirca, a cui il compare Simone disse: «Ricordati che ci siamo giurati fede la notte di San Giovanni; e il compare di San Giovanni, quale io sono per te e tu per me, è più che la sposa, più che l’amante, più che il fratello, più ancora del figlio. Non c’è che il padre e la madre a superarlo.[…]»