Perché le ‘vecchiette’ in Sardegna ti spiano: un Facebook ancestrale come collante comunitario.

Passeggiare in un paesino in Sardegna significa anche essere spiati. Non è raro che, nel momento in cui sei convinto di essere invisibile in una strada semi-deserta, ti accorga di essere osservato da una vecchietta affacciata alla finestra di casa sua o che il signore, apparentemente ignaro della tua presenza, mentre dialoga con le mani accavallate sulla bassa schiena, stia seguendo il tuo percorso con la coda dell’occhio.

Tutto questo è percepito come un fastidio, specie dalle nuove generazioni, che con il mito della libertà non ci hanno mai fatto i conti.
Gli stessi giovanissimi che si lamentano di essere spiati dalla vecchietta di paese e di non avere una privacy, postano vita e miracoli sui social, rendendosi così dipendenti esattamente da ciò di cui si lamentano: quello che pensano gli altri. Il problema è che questo sacrificio della privacy, non ha più la finalità pratica che in passato aveva nella società comunitaria, ma è solo ed esclusivamente apparenza.

Ma perchè in un paese sardo (e non) è così radicata la curiosità verso gli altri? Non parlo della curiosità che porta le persone a interessarsi della vita altrui per mera invidia, ma la curiosità come conoscenza dell’altro, per capire chi si ha di fronte e, infine, per controllarlo (ora ti spiego cosa intendo).

Sebbene questa forma di invadenza sia spesso fastidiosa, c’è un motivo preciso per cui monitorare i comportamenti altrui è parte integrante delle regole non scritte delle società tradizionali. 

Nel concreto, prima che l’egoismo cambiasse il suo nome in individualismo per legittimarsi, nelle società tradizionali e comunitarie come quella sarda, l’individuo aveva meno valore della comunità. Infatti, se un individuo preso singolarmente ha potenzialmente piena libertà, un individuo integrato in una società comunitaria, ha precise regole da rispettare e, quindi, è controllato. Il controllo è un elemento fondamentale per non indebolire il tessuto sociale e, una comunità come quella sarda non poteva permettersi di essere debole, soprattutto perché doveva affrontare sfide comuni gigantesche, in mancanza di regole ufficiali efficienti.

Il controllo in  questo caso si esercitava in modo informale, con norme collettive condivise ma non scritte, attraverso l’opinione pubblica e attraverso il gossip  (in pratica, ognuno aveva l’obbligo non scritto di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro). Un sistema che monitora il comportamento degli altri, personificato dalla vecchietta che ti spia con gli occhi vispi da dietro l’angolo, rende il comportamento di ogni individuo prevedibile. Questo perché ogni persona che sa di essere osservata, adatta il proprio comportamento al giudizio di chi la osserva, mentre in mancanza di sguardi, può agire in modo completamente diverso (nessuno parla da solo in pubblico, ma tutti lo fanno quando sono soli).

Quindi, chi si discostava dalle norme sociali, in un paese come quelli sardi, veniva emarginato e quindi non si sentiva più integrante di una società di cui, fondamentalmente, aveva bisogno. E’ il bisogno che rende le persone coese e altruiste. Non è un caso che oggi, in mancanza di una vera necessità, l’individuo singolo è molto più egoista e si percepisce al di sopra della comunità.

La paura di deviare dalle aspettative sociali o di essere esclusi, crea un forte legame tra gli individui. E’ chiaro che questo può risultare soffocante per chi cerca di affermarsi come individuo.

Ma come al solito, bisogna rinunciare a qualcosa per assicurarsi qualcos’altro. 

Il conflitto sta, quindi, proprio nel sacrificare una fetta abbastanza grossa della propria libertà per consegnarla a una comunità che ci protegge, ma ci soffoca allo stesso tempo.

Forse, lo spopolamento dei paesi, è in parte anche influenzato da questa invadenza che oggi, non giustificata da nessuna necessità reale, è solamente fine a se stessa, in una comunità che, rispetto al passato, è sempre meno protettiva, diventando così autodistruttiva.

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